mercoledì 7 agosto 2013

Sulla 'questione cattolica' di Bosnia-Erzegovina

In svariati post (raggiungibili dal sommario e/o attraverso l'inserimento nella ricerca interna delle voci: Croati di BiH e Cattolici di BiH) di questo blog che segue da oltre un anno le attività pastorali del Nunzio Apostolico Mons. D'Errico, si possono leggere i tratti fondamentali che caratterizzano la 'questione cattolica' in Bosnia-Erzegovina. Sono tratti delineati nei discorsi e nelle analisi storiche ed ecclesiastiche che lo stesso Nunzio ha sviluppato, nell'ultimo decennio, in varie circostanze con l'operato diplomatico, con il dialogo con le istituzioni civili, con i contributi dati alla comunicazione sociale, e con la sinergia del suo lavoro apostolico svolto in rappresentanza della Santa Sede e in collaborazione con le Conferenze Episcopali di Bosnia-Erzegovina e di Croazia.
Nunzio di 'frontiera' in Pakistan ai tempi di Giovanni Paolo II che aveva particolarmente a cuore la sorte della Chiesa in BiH, Mons. D'Errico nell'anno della dipartita del papa beato fu scelto da Benedetto XVI per essere suo rappresentante nella complessa situazione politica e religiosa della Bosnia-Erzegovina. Nello spirito missionario e nel dialogo interreligioso il vescovo Alessandro ha operato in un luogo multietnico e multireligioso, con componenti musulmane, ortodosse, e con altre minoranze e confessioni, ove il cattolicesimo, pur vissuto nella testimonianza eroica, va registrando dalla conclusione della guerra nei Balcani il sistematico calo del numero dei fedeli (da 800.000 del 1991 ai 440.000 del 2013), e vive le dinamiche di comunità dislocate, profughe, ed impegnate in difficili problematiche d'integrazione. Nel lungo periodo della Nunziatura a Sarajevo (2005-2012) Mons. D'Errico ha avuto modo di individuare le criticità e le particolarità del cattolicesimo locale ed ha praticato vie, contatti, metodologie ed azioni tese a qualificare la testimonianza della Chiesa e a risolverne le problematiche contingenti. Sono noti il grande spirito di collaborazione e di amicizia che lo hanno legato al Cardinale Vinko Pulijc, arcivescovo di Sarajevo, e agli altri Vescovi della CEBiH; sono noti i prestigiosi riconoscimenti ricevuti a livello nazionale ed internazionale per il suo lavoro diplomatico e pastorale (Golden Chart, Premio Bonifacio VIII, Libro In honorem...). L'incarico aggiuntivo di Rappresentante della Santa Sede in Montenegro, ed il suo passaggio alla Nunziatura di Zagabria nel Giugno 2012, sono leggibili nell'importanza che hanno in se come compiti specifici del Nunzio D'Errico e della Diplomazia Vaticana in quelle Nazioni, ma anche come espressioni che contengono estensioni ed istanze valorizzatrici del lavoro svolto a Sarajevo e delle aspettative della Chiesa di Bosnia-Erzegovina che ha necessità, per la sua stessa sopravvivenza, di avere una rete di comunicazioni, di solidarietà e di azioni più ampia di quella attuale.
La Chiesa di Roma, dai tempi di Giovanni Paolo II, attraverso il pontificato di Benedetto XVI, fino alle espressioni di papa Francesco riguardanti il carattere fondamentalmente pastorale del lavoro dei Nunzi Apostolici, ha sempre operato nel senso di una universalità che si fa carico delle criticità delle chiese locali e rilancia le loro problematiche in ambiti sociali risolutivi più efficaci ed espressivi della carità e della giustizia evangelica. E' quindi un dato spirituale, oltre che diplomatico, quello che spinge la Curia Romana, ed il Cardinale Bertone, a rendere noti i termini critici della questione dei Cattolici di BiH e ad indicare, insieme con gli incarichi pastorali del Nunzio, le vie di una prospettiva sovraterritoriale nel lavoro congiunto delle Conferenze Episcopali di Croazia e di Bosnia-Erzegovina.

Per rimarcare questo aspetto spirituale, e per un diretto contributo conoscitivo, non voglio far mancare alla lettura un brano tratto dalla lunga intervista sulla sua missione diplomatica ed ecclesiale fatta da Vecernji list a Sarajevo nel febbraio del 2012 a Mons. D'Errico poco prima della nomina di Nunzio Apostolico a Zagabria. Riguarda l'analisi che egli velocemente propone per comprendere alcuni aspetti storici del Cattolicesimo in Bih. Consiglio comunque la lettura intera al link su questo stesso blog.

Nell’interessamento generale della Santa Sede per la BiH, mi pare ovvio che essa segua con particolare attenzione il popolo croato, che in grande maggioranza è cattolico. Ebbene, sì, i Superiori della Santa Sede sono preoccupati per il futuro della presenza cattolica in BiH. La situazione del popolo croato mi pare molto delicata, a motivo della configurazione istituzionale del Paese venuta dopo la guerra, e per il fatto che il popolo croato è il meno numeroso tra i popoli costitutivi. Inoltre, i dati statistici raccolti ogni anno dalle Curie diocesane documentano un fenomeno allarmante: c’è un costante calo demografico; e anzi in parecchie parrocchie sono rimasti solo pochi anziani. Qui non è solo questione della perdita di vite umane avvenuta durante la guerra; o del mancato ritorno dei profughi. C’è anche un inarrestabile esodo migratorio, soprattutto di giovani che non trovano lavoro e cercano altrove possibilità di impiego. E c’è pure un documentato calo del tasso di natalità: nel senso che il numero annuale dei morti diventa sempre maggiore rispetto a quello dei nati.
Sicché, se si continua di questo passo, in alcune aree si rischia di veder scomparire del tutto la presenza croata tra qualche anno. Questo è il motivo che ha indotto il Cardinale Bertone a scrivere – a nome del Santo Padre – il recente Messaggio ai Vescovi della regione croata circa il futuro della fede cattolica in BiH.
[...]
A scanso di equivoci, mi lasci dire anzitutto che apprezzo molto lo zelo, la preparazione e il dinamismo pastorale dei nostri Sacerdoti e dei nostri Religiosi. Tuttavia, sin dal mio arrivo in BiH ho dovuto costatare come in un recente passato qualche cosa non ha funzionato bene nelle loro relazioni. Perciò, non mi ha meravigliato che tra le linee prioritarie tracciate dalla Santa Sede per la Chiesa in BiH (di cui ho potuto parlare personalmente con il Santo Padre), c’era anche questa: nelle presenti circostanze si vede la necessità di una maggiore intesa e di una migliore collaborazione tra strutture e personale diocesani, e strutture e personale religiosi, specialmente in alcune aree. In altre parole, si vede l’urgenza di chiarire le difficoltà che ancora sussistono, e rafforzare il desiderio di lavorare insieme per l’unica Chiesa di Cristo, in questa Chiesa concreta.
In questi anni ho cercato di adoperarmi lungo due direttrici. In primo luogo, ho cercato di richiamare a più riprese che la storia della Chiesa in BiH ha una nota specifica che tutti devono serenamente riconoscere. Qui in vari secoli e in tempi difficili la Chiesa ha potuto continuare la sua presenza e la sua missione soprattutto grazie ai Francescani, che nel periodo ottomano seppero trovare la maniera di convivere con le autorità del tempo. La loro storia è ricca di amore per la Chiesa e per queste terre, fino al supremo sacrificio di sé. Direi che è grazie soprattutto ai Francescani che la fiaccola della fede cattolica è rimasta viva in BiH. Ad essi bisogna essere molto grati per il gran bene che hanno fatto e continuano a fare.
L’altra direttrice è stata di trasmettere fedelmente – ai Sacerdoti diocesani e ai Religiosi – il desiderio dei Superiori della Santa Sede, e anzi del Santo Padre in persona, che si chiariscano i motivi di tensione, e si dia insieme il proprio contributo per la crescita di questa Chiesa, nonostante le incomprensioni che pur ci sono state, e le difficoltà che ancora sussistono, per lo più ereditate del passato.
Personalmente sono convinto che nella Chiesa in BiH ci sono due grandi motori, che devono lavorare insieme: quello dei Sacerdoti secolari e delle Istituzioni diocesane da una parte, e quello dei Religiosi e delle Religiose dall’altra. Guardando al futuro, per quello che ho potuto sperimentare in questi anni, credo che non manca la buona volontà di risolvere i problemi. Perciò sono fiducioso che anche questo aspetto ecclesiale meno positivo sarà risolto prima o poi, con l’aiuto di Dio, e con l’impegno di fedeltà alla Chiesa di tutte le persone interessate.

Il dibattito sulla questione dei Cattolici di Bih è stata proprio in questi giorni rilanciata a Zagabria con un altro articolo di Vecernji list. Sulla base del dato riguardante il calo ed il quasi dimezzamento del numero dei fedeli negli ultimi anni, in esso si paventa il rischio della scomparsa dei cattolici dalla Bosnia-Erzegovina nel giro di un decennio. Accanto alle problematiche storiche e territoriali abbordate con stile critico e linguaggio ricchi di toni e di rifermenti politici e culturali, importantissima appare la lettura svolta dal giornalista circa il ruolo del Nunzio a Zagabria con la quale egli coglie nel segno ecclesiale, indicando una priorità della sua missione in Croazia: se il Nunzio D'errico continua ad interessarsi di BiH, non si tratta di nostalgica memoria di anni belli trascorsi colà, ma piuttosto di fedele impegno (affidatogli dalla Santa Sede) per il futuro della Chiesa in BiH. Sono sicuro che lo stesso Nunzio condivide questa lettura.
Segue l'intero articolo di Vecernji list nella traduzione ad sensum dal croato operata con l'ausilio del mezzo informatico.

La prima linea del Vaticano continua ad est con i cattolici in Bosnia-Erzegovina.

Diminuisce il loro numero. Il confine si muove sulla Neretva

Drammatico appello al Vaticano: 800.000 cattolici in Bosnia-Erzegovina nel 1991, ora 440.000.

Rischi che la fede cattolica scompaia del tutto nel giro di un decennio

A causa delle lunghe file di coloro che lasciano il loro paese, le zone di confine in cui vivono i croati in Bosnia-Erzegovina si stanno sempre più muovendo verso la Neretva. E non molto tempo fa veniva cantata sulla Drina una Bosnia piena di tristi storie di rifugiati. Per troppo tempo si sono incrociate le braccia di fronte alla scomparsa di una nazione. I cattolici in Bosnia-Erzegovina sono in realtà sulla "prima linea" del Vaticano. Sono le ultime unità omogenee cattoliche a est. E nella lotta per la sopravvivenza i vescovi in BiH Puljic Komarika, Smith, Collision, Vukšić e Semren sono come i generali che non hanno militari. Hanno bisogno di aiuto!
I Croati in Bosnia-Erzegovina in tutti questi anni si sentono come se fossero alleati minori. Essi sono delusi da America, Germania, Croazia … Solo non hanno mai lasciato il Vaticano. E quando non c'erano mosse pubbliche, hanno creduto all'opera della diplomazia della Santa Sede.
Papa Francesco nel primo incontro con il cardinale Puljic ha detto:. "E tu, tu vieni dalla Chiesa dei martiri, dalla Chiesa delle sofferenze". Si vede che il papa argentino conosce perfettamente la situazione in Bosnia-Erzegovina.
Papa Wojtyla ignorò le minacce di morte, al fine di andare a Sarajevo. Ha anche annunciato la guerra nel 1994, ma la visita è stata rinviata a causa del pericolo. Lo ha fatto nel 1997 con l'invio di un messaggio ai cattolici, "Voi non siete soli, siamo con voi". Nel 2003 ha voluto la messa a Banja Luka, anche se la notte prima dell'arrivo il vescovo Komarica ha annunciato il rischio di essere ucciso.
Il tedesco papa Benedetto ha usato ogni occasione per evidenziare la scomparsa di un popolo. In particolare sarà ricordato per una lettera drammatica a suo nome inviata dal Segretario Tarcisio Bertone ai vescovi di Bosnia-Erzegovina e Croazia. Egli ha sottolineato che la situazione è allarmante. A causa del calo dei Cattolici da circa 800.000 nel 1991 a circa 440 mila attuali. Egli ha messo in guardia i vescovi: "La fede cattolica in Bosnia-Erzegovina rischia di scomparire completamente nel giro di un decennio". Quindi, il Papa ha pregato i capi della Chiesa in Bosnia-Erzegovina e Croazia alla condivisione collegiale e, come pastori che hanno la prima responsabilità del popolo di Dio, ad intensificare il loro impegno per il futuro della Chiesa in Bosnia-Erzegovina". È stato sottolineato che, in questo senso, "La Chiesa non mancherà di collaborare con le autorità civili ed ogni persona di buona volontà". Quindi, abbiamo bisogno di dialogo e di comunione reciproca. La divisione è un terreno fertile per gli strateghi che incoraggiano l'emigrazione di croati.
Una forte impronta nell'attuazione delle raccomandazioni del Vaticano è lasciata dal legato italiano Alessandro D'Errico. Che sei anni fa è stato in servizio in Bosnia. L'anno scorso è stato trasferito a Zagabria. Gli ho chiesto di recente se ora sta perseguendo "un ordine del Vaticano", insieme con i vescovi, che ha ricevuto a Sarajevo. Con grande rispetto, ha parlato degli sforzi dei vescovi croati per aiutare i loro connazionali in Bosnia-Erzegovina. Ha enumerato le molte azioni. Egli è sicuro che i vescovi della Croazia non saranno mai stanchi di quella missione.
Proprio come con i rappresentanti della Chiesa, in qualità di rappresentante del Papa in Croazia, così ha implementato con successo e suggestione la collaborazione del Vaticano con le autorità civili indipendentemente dalle influenze dei partiti. Rispetta la volontà degli eletti del popolo. E soprattutto quelli che vogliono aiutare.
Come Nunzio in BiH D'Errico era l'inviato del Santo Padre all'insediamento del presidente croato. È interessante notare che è stato il primo ricevimento al palazzo presidenziale preparato da Josipovic. Un impegno centrale dell'inviato papale in molti incontri è la questione dei croati in BiH. E' lo stesso ordine del giorno che ha avuto agli incontri con il primo ministro Jadranka Kosor, Zoran Milanovic, con i ministri, e con il capo dell'opposizione Karamarko … D'Errico oggi a Zagabria con uguale fervore lavora per le persone con cui ha vissuto per sei anni condividendone la sofferenza.
Il Vaticano attraverso i suoi pastori cerca di proteggere il suo gregge in BiH. Pertanto, nei tempi del dopoguerra, il Papa è arrivato alla "Sarajevo musulmana" e alla "ortodossa Banja Luka". Ha inviato il messaggio "questo è un paese cattolico". Ed in questo paese "ci vogliono seppellire vivi" ripete con voce quasi disperata Puljic. Tutto tace: è il silenzio assordante dei becchini che fanno il loro lavoro. Si riproduce la prima linea. Si stanno scavando nuove trincee. Su loro già incombe la Neretva. Invece di aiutarli, l' "Europa cristiana" li costringe in una camicia di forza?!


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